ARTicolando

ARTicolando nasce tout court con l’intenzione di mantenere viva la mia passione per l'Arte oltre che a divulgarne la Bellezza.  Cio' attraverso riflessioni e spunti tali da suscitare curiosita' e spingere il lettore ad un approfondimento o magari ad un cammino di ricerca.
Il proposito è dunque quello di far diventare ARTicolando un irradiatore di Bellezza ed un catalizzatore di idee intorno all'Arte.


Rossella Accardi ( Storico dell' arte)

laureata in Lettere Moderne Arte, Musica e Spettacolo presso l’Università di Salerno. Consegue in seguito     diversi Master tra i quali “Arte e Territorio” , ”L’insegnamento dell’arte Antica” e frequenta laboratori di Arteterapia. Abilitata all'insegnamento della Storia dell’Arte presso l’Unical di Cosenza, inizia ad insegnare tale disciplina presso Licei ed Istituti Professionali. Dopo dodici anni approda ad una nuova scelta lavorativa nella Scuola dell’Infanzia, senza per questo     abbandonare la sua passione. Oltre a dedicarsi alla scrittura di articoli e recensioni su vari artisti contemporanei è spesso coinvolta nel ruolo di mediatrice nella presentazione di libri o eventi di vario genere.

ARTICOLI:

CONSTANTIN BRANCUSI

Un artista che puntava in alto

 

Constantin BRÂNCUȘI, evocat la Colegiul "Nicu Gane ...

Artista rumeno, uno dei più influenti scultori del XX secolo, e che di sé diceva:” Io non sono né surrealista, né barocco, né cubista e neanche altre cose di questo genere. Io col mio nuovo vengo da qualcosa che è molto antico”.

Da bambino scappava di casa per rifugiarsi presso i pastori delle montagne dei Carpazi, intorno al suo villaggio natio, Hobita. 

E’ lì che inizia ad intagliare piccoli oggetti nel legno e ad alimentare il suo amore per la scultura. A quei luoghi sarà debitore e pertanto porterà con sé, nella sua arte, le tradizioni del suo mondo anche quando nel 1904 in un viaggio rigorosamente a piedi giungerà a Parigi. Brancusi, un aedo platonico alla ricerca del significato dei simboli e della spiritualità arcaica della sua terra rumena, è così che viene definito dallo storico delle religioni Mircea Eliade.

Diverse sono le opere che testimoniano il legame con la sua terra, ma nella sua vasta produzione, due sono in particolare da menzionare: la Maïastra, che nel 1910 inaugura una serie di opere dedicata agli uccelli ed il tema della Colonna senza fine. L’impulso del volo della maïastra, la Colonna senza fine come celebrazione dell’ascensione portano Brancusi a puntare gli occhi verso l’alto. 

La Maïastra, animale mitico delle fiabe rumene il cui nome completo è Pasarea maiastra, ossia uccello meraviglioso si presenta dalle piume splendenti, dall’incantevole voce umana e capace di mutare aspetto. Il suo ruolo è quello di assistere il principe nelle sue prove per poi fargli raggiungere l’amata. Secondo altre leggende la maïastra riesce ad impossessarsi di tre mele d’oro di un albero fatato che la rende invulnerabile tranne se a ferirla o catturarla sarà un principe che la trasformerà poi in una bellissima fanciulla. Nel folklore dei Carpazi meridionali, poi, quando un uomo sposato muore, a fianco della tomba viene eretto un palo di legno culminante con un uccello: è la maiastra, che farà sì che l’anima non si reincarni in un animale terrestre, aiutandola a salire al Cielo.

Inizialmente interessato alla rappresentazione della metamorfosi dell’uccello in figura umana, successivamente si concentra sul valore spirituale dell’immagine del volo soffermandosi in particolare sull’impulso del volo.

 

Constantin Brancusi. Maiastra. 1910-12 | MoMA in 2020 ...

Tale mutamento di interesse è dovuto dall’incontro tra il folklore rumeno ed il primitivismo circolante nella Parigi di inizio ‘900 (tanto amato anche da Picasso) conducendo le opere di Brancusi ad una sintesi formale ossia ad una stilizzazione e resa geometrica dei volumi tipica delle sculture primitive, riducendo così all’essenziale gli elementi rappresentati. 

La Colonna senza fine, costituita da elementi romboidali che rimandano al concetto dell’ascensione progressiva trae spunto dalle antiche forme lignee dei pilastri che sorreggono le case tradizionali rumene. Lo storico Mircea Eliade, invece, suggerisce il tema della colonna senza fine ancora una volta ispirato dal folklore rumeno ma come columna ceruli (Colonna del cielo) che sostiene la volta celeste. Tale mito si trova presso tutte le popolazioni del centro e dell’est Europa e corrisponde al concetto latino di “axis mundi” che sostiene la volta celeste collegando la Terra al Cielo.  

L’esempio più audace è presente in Romania nel complesso monumentale di Tîrgu Jiu chiamato “Viale degli Eroi” e realizzato alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale in omaggio ai caduti della Grande Guerra. Ne fanno parte il Tavolo del Silenzio, grande tavolo rotondo circondato da sgabelli a forma di clessidra (il tempo che scorre), che simbolizza l’ultimo pasto dei soldati prima di cadere in battaglia; la Porta del Bacio, arco in travertino che raffigura il passaggio tra la vita la morte, e la Colonna senza Fine alta 29,35 metri. 
La Columna Infinita de Brancusi en Târgu Jiu

 

Si tratta, dunque, della celebrazione dell’immagine dell’ascensione. 

L’opera diventa fonte di ispirazione sia per Mircea Eliade, come abbiamo visto interessato all’operato di Brancusi, con una piece teatrale dal titolo La Colonna Infinita che per il compositore György Ligeti con un brano musicale Étude No.14A : Coloana fara sfârşit. 

Quest’ultimo, un costante accumulo di accordi a blocchi che si sposta dalle note di basso del pianoforte a quelle più acute, creando la sensazione di una forma che raggiunge il cielo.

E’ senza mai tradire la semplicità di vita e di valori tanto ricercata sin dall’infanzia che l’iter artistico di Brancusi approda ad una forma sublimata; ed è proprio in tale passaggio, dalla solidità della materia ad uno stato aeriforme, di elevazione spirituale che le sue opere giungono all’essenza.

 “La semplicità è la complessità stessa – ti devi nutrire della sua essenza per comprenderne il valore”.

Lena.O

L’autentica arte dell’imperfetto

LenaO. è un’artista calabrese con una laurea in Linguaggi dello Spettacolo, del Cinema e dei Media e un diploma in Illustrazione conseguito a Londra. Di recente è impegnata nello sviluppo di “Nel Bianco Secco”, un progetto artistico orientato alla luce che attraversa il tema della morte.

 E quest’ultima, quanto più si palesa tanto più la attacca alla Vita.

Ama l’acqua, il vento, il silenzio.

La curiosità fa imboccare il più delle volte vie illuminate. Ed è proprio per mera curiosità che ho scoperto le opere di LenaO. Ma ancor prima mi sono imbattuta nel suo nome, associato a quello di validi artisti presenti sul territorio calabrese e con i quali collabora. Da questo mio “incontro” ne sono emersi degli appunti ispirati e che riporto in maniera un po’ più ordinata in questo articolo cercando però di rimanere fedele alla prima impressione. Faccio scorrere a ritroso la pubblicazione delle sue opere e da subito colgo che LenaO.  lavora sulla linea e la superficie, omettendo il punto permettendomi così un rimando di kandinskijana memoria. 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

L’artista si libera da volumi ed ambientazioni. Nulla proietta ombre. Brada, libera da tutto il superfluo, lascia solo corpi e volti che in alcuni casi, in una sorta di horror vacui, riempiono lo spazio creando un tessuto d’inchiostro. 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Sono figure messe a nudo che ci riportano alla realtà ostentando sul corpo segni disturbanti. La realtà, la veridicità dei corpi non sta in una virtuosistica riproduzione ma nella loro vulnerabilità. Tanto più è vero quanto più è vulnerabile. Tanto più è vulnerabile quanto più è vero. La vulnerabilità è condizione umana. Le figure, pur nella loro sintesi, appaiono più veritiere di certe immagini iperrealistiche. Il creare di Lena.O è un processo che dà verità all’arte, è lealtà nei confronti del proprio Io che riconosce l’imperfezione dell’essere. L’opera non nasce di certo per compiacere l’occhio dell’osservatore. Nella sua produzione artistica la superficie riservata al nero si accresce nel tempo, e il colore, quando presente, è senza sfumature di tono, steso a campiture.

C:\Users\hp\Desktop\Lenao immag.jpg

Il colore non è artificioso ma è un distillato colto dall’osservazione della natura e ne sono testimonianza alcune sue opere che vanno a zoomare su dettagli naturalistici. Il colore quando appare funziona come in una calavera poiché, pur dando al soggetto un valore cromatico nella sua essenza rimanda ad un concetto di dolore, sofferenza vissuta che ha lasciato visibili segni.  Le sue opere sono la rappresentazione di un dolore che dal punto temporale avverti già passato ma che vive nel presente attraverso le tracce vistose che di sé ha lasciato. Le esperienze vissute alloggiano in maniera differente nei corpi così come differente è l’esternazione degli impulsi che ne derivano. Tutto viene affidato all’espressività della bocca: un muto silenzio, un assordante urlo, un impavido sorriso. La silhouette delle figure è piatta ma trattata secondo una resa materica; presentano cuciture della stoffa, la granulazione della lavorazione dell’oro, la filatura della lana.  Caldo o freddo, morbido o duro è sempre il segno a deciderne le qualità tattili. Terminano qui i miei appunti ispirati ma continuate pure a dialogare con le sue opere.  L’arte che non ricerca canoni ma si ispira alla Vita, specie nelle sue imperfezioni, ha ancora tanto da dirci.

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

https://it-it.facebook.com/lenaoart/

 

La “Cattedrale del Jazz”

Il lungo assolo di Simon Rodia tra improvvisazioni e cromatismi 



1967.I Beatles pubblicano l’album Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band che molti di certo ricorderanno per l’affollata copertina. 

Attorno ai Beatles, posti al centro nel ruolo della Banda del Sergente Pepper, campeggiano volti noti del panorama musicale e non, e tra i diversi personaggi l’unico italiano: Simon Rodia.


FRANCIS SCHAEFFER ANALYZES ART AND CULTURE Part 69 THE ...

https://tse4.mm.bing.net/th?id=OIP.aqwFqUKdMCBUwzyvNItLuQHaFj&pid=Api

 

Ma quale opera lo ha reso grande tanto da essere stato scelto ed immortalato dalla band? Lascio rispondere al gruppo rock dei Santo Niente attraverso le parole del loro brano (che vi invito ad ascoltare) dedicato a Sabato Simon Rodia.

 

“Per 30 anni in ogni ora libera dopo il lavoro, con vetri azzurri o verdi, fil di ferro e cemento, con acciaio, cocci e sudore. Con le mie mani e nient’altro costruisco la torre che piace alla gente e io la chiamo …Il nostro villaggio”.

Simon Sabato Rodia, emigrante italiano negli Stati Uniti, muratore ed analfabeta, decide di realizzare qualcosa di unico, ripetendo a se stesso che sentiva di dover fare qualcosa che sarebbe piaciuto alla gente…

"I have to do something, I build the tower people like ..." queste le parole dell’artista.

 

Definito eroe della costruzione solitaria, nell’arco di trentatre (dal 1921 al 1954) realizza nella zona di Watts alla periferia di Los Angeles, diciassette strutture di diversa altezza costruite con semplici strumenti e decorate con materiale di scarto come tegole rotte, piatti, bottiglie. 

 

History, Los Angeles County: Watts Towers as Mosaic Art

Ne nascono le Watts Tower, ieri strane opere erette da un ben più strano personaggio, oggi sito protetto dall’Unesco.

Cemento, acciaio ed un progetto già formato nella mente di Rodia hanno reso possibile lo svettare di queste strutture a torre, tra le quali le più alte fino a 30 metri.

https://tse2.mm.bing.net/th?id=OIP.iZyoGQ34c3VaF9NWe6QW8gAAAA&pid=Api

Simon Rodia, nato e vissuto fino all'età di quindici anni a Ribottoli in Serino, un piccolo centro in provincia di Avellino, quando emigrò negli Stati Uniti d'America portò con se’ reminiscenze di una delle più sentite tradizioni campane, quella dei Gigli di Nola. I Gigli, sono costruzioni di legno ad obelisco che vengono portate in processione in occasione della festa patronale dedicata a San Paolino.

 Come un “mastro” procedette ad una trentennale Aizata d'a borda (è così che viene chiamata dai nolani la costruzione del giglio) seguita da ʾA vesta nova ossia la decorazione, o meglio la vestizione dei Gigli.

Il risultato, definito dallo stesso Rodia “Nuestro Pueblo”, è una commistione di consistenza, colori e svettante vitalità che nasce principalmente da una necessità interiore dell’artista, né veicolato da alcuna formazione artistica pregressa né da esigenze dell’Apparire.

 La necessità dell’Anima: il preludio che rende stra-ordinaria e pregna di genialità l’Arte. 

 

Donne, spiritismo, arte e libertà

 

Una della vie più singolari per dar voce a quelle persone che socialmente non erano legittimate ad esprimersi è stata quella dello spiritismo.

 Lo spiritismo, che vede l’inizio ufficiale in una data ben precisa, il 1848 e per protagoniste ha proprio due donne (le sorelle Fox), attraverso la medianità ha supportato fortemente il bisogno di emancipazione delle donne. Quello dello spiritismo e del paranormale è stato uno dei pochi ambiti in cui la donna poteva esprimersi con autorevolezza e credibilità e ciò giustifica il fatto che i medium erano quasi sempre donne.

Gli anni dello spiritismo, inoltre, coincisero con le prime contestazioni femminili per ottenere la parità dei sessi, un esempio le manifestazioni delle suffragette oppure quella sorta di ribellione mascherata da nevrosi ossia l’isteria”, come molti studiosi l’hanno interpretata.  “E’ plausibile che lo spiritismo avesse una matrice simile: parlando attraverso gli spiriti alcune donne potrebbero aver trovato il modo di imporsi e di farsi ascoltare dagli uomini. 

Essere guidati da spiriti o voci diventava per le donne anche un alibi, una giustificazione ad attività diversamente non lecite, illegittime come per esempio quella grafica.

Si parla pertanto di creatività medianica e si tratta dell'insieme di opere artistiche realizzate da medium in uno stato di trance al di fuori del quale non avrebbero doti artistiche di rilievo. 

 Tutte creazioni spontanee e non acculturate ma di grande originalità che verranno in seguito accolte nel 1945 dal gruppo Art Brut in forte polemica con la cultura artistica ufficiale. 

L’art Brut ha dato, così, un riconoscimento estetico a queste opere, nate per lo più senza intenzione artistica come nel caso dell’inglese Madge Gill, di estrazione operaia, che inizia a disegnare nel 1918 dopo la morte di uno dei suoi figli continuando poi senza sosta e guidata, come lei stessa afferma, da una forza invisibile alla quale darà il nome di Myrninerest .

Realizzava le sue opere di notte in semioscurità e in uno stato di trance, sia su carta con inchiostro che  rotoli di tessuto calicò lunghi anche dieci metri  decorandoli con ricami. 

https://tse2.mm.bing.net/th?id=OIP.APYOLFvSEYg8oXruYWHxqgAAAA&pid=Api

https://tse1.mm.bing.net/th?id=OIP.sO4EfTWncuI18hgd2TQUQgHaEs&pid=Api

La superficie risulta essere interamente coperta da intarsi geometrici, motivi a scacchiera creando così spazi architettonici che ci ricordano le opere di Escher. Da tali spazi però emergono delle reiterate figure femminili che possiamo essere interpretare o come rappresentazione del suo spirito guida o l’alter ego ultraterreno dell’artista al di là dei suoi traumi della vita terrena.Altra artista medium da ricordare è Emma Kunz, guaritrice e naturopata che ha trascorso la sua vita in Svizzera. A partire dal 1938 iniziò a creare immagini di grande formato sulla carta millimetrata usando la matita, i pastelli, gessetti e un pendolo. 

Cosmic Visions: The Artist As Mystic | "Hear This, You ...

Le figure, rigorosamente geometriche, visualizzano le leggi interiori e i flussi di energia individuati con il pendolino. Tali opere venivano definite catalizzatori di energia e sono l’unica testimonianza della sua pratica, che la stessa Emma Kunz definì  “creazione e forma espresse come misura, ritmo, simbolo e trasformazione del numero e del principio” .                                                                          

http://2.bp.blogspot.com/-OkXTg8VDJp0/VT4CYMRAKiI/AAAAAAAASGw/__strFY_SjY/s1600/emma-kunz31.png

 

Sulla scia di un’emancipazione femminile che stava aumentando la propria portata, la scena artistica si arricchì sempre più di figure interessate alla commistione fra pittura e spiritismo. 

Hilma af Klint (1862 – 1944), influenzata in particolare, dalla teosofia, dall'antroposofia e dallo spiritismo durante la realizzazione di un dipinto aveva la percezione di essere in contatto con una coscienza superiore, un’entità spirituale denominata Amaliel della quale si considerava un tramite.

Proveniente da una ricca famiglia svedese e ricevuta un’educazione artistica, dipinse ed espose inizialmente ritratti e paesaggi in stile naturalistico secondo quelle che erano le aspettative del tempo verso un’artista donna.   In seguito abbandonò questo linguaggio tradizionale per astrazioni di forme e colori intese come rappresentazione di una dimensione spirituale, di ciò che è invisibile consapevole del fatto che la società patriarcale svedese dei primi anni del XX secolo in cui le donne ebbero accesso al voto solo nel 1919 non era ancora pronto ad accogliere tali verità.

https://www.doppiozero.com/sites/default/files/royal_academy_of_arts_stoccolma_1885.jpg

 https://www.doppiozero.com/sites/default/files/hilma_image3.jpg 

 

L’artista vietò infatti l’esposizione pubblica delle sue opere per vent’anni, un lasso di tempo sufficiente, secondo il suo pensiero, per un’evoluzione della sensibilità collettiva pronta ad affermare che...

”La vera arte è dove nessuno se lo aspetta, dove nessuno ci pensa, né pronuncia il suo nome”.

                                                                                           Jean Dubuffet

 

 

 

  La Madonna della Pietà tra evidenze e misteri

 Situata sulle pendici del Monte San Biagio, è una delle 44 chiese della Città di Maratea.  La sua posizione defilata rispetto al Centro storico la rende forse un po’ meno conosciuta e di certo un po’ meno visitata.  Merita invece una particolare attenzione, non solo per il valore devozionale comprovato dalla presenza di una scultura in marmo della Madonna, ma anche per l’aspetto paesaggistico. Si giunge ad essa lungo una stradina sterrata che costeggia il monte, con un percorso che ci impegna per circa una mezz’ora e durante il quale si può godere di un incantevole panorama.  Il blu del mare ed il verde della macchia mediterranea ci preparano poi ad accogliere meglio il bianco della chiesetta dal gusto barocco la quale racchiude anche un rifugio per monaci itineranti.

C:\Users\hp\Pictures\2020-01\IMG_20200111_135450.jpg

Entrando poi nella chiesetta si apprende come un discorso ai soli fini della valorizzazione non risulta essere   esaustivo ma debba rivolgersi necessariamente alla tutela. Ciò nello specifico in riferimento alla pavimentazione della quale non troviamo alcun cenno, neanche nelle principali descrizioni circolanti intorno a tale chiesa.  Una pavimentazione interamente in cotto che in tre ben precisi punti, in asse con l’altare, mostra delle mattonelle graffite e che, trattandosi probabilmente di materiale di reimpiego, si presentano avulse dal contesto. Tre porzioni di pavimentazione, usurate in parte dal calpestio dei fedeli, per un totale di 47 mattonelle recanti simboli e stemmi, alcuni dei quali si ripetono. Agli occhi ci appare da subito come un rompicapo da risolvere. 

C:\Users\hp\Downloads\IMG-20200209-WA0026.jpg

L’attenzione ricade in particolare sulla figura di Balaam, indovino e stregone menzionato nel Pentateuco, ricordato per l’episodio della sua asinella che ha in potere di vedere gli angeli, la quale diventa coprotagonista nella tradizionale iconografia.  Una figura di certo poco rappresentata nelle nostre chiese che potrebbe dare una particolare chiave di lettura ed aprirci delle strade all’interpretazione.  Un primo rimando, volendoci avventurare in correlazioni, è all’Ebraismo; a ricordarcelo il Balaam di Rembrandt che a tale cultura è appartenuto.  Da qui all’alchimia il passo è breve se continuiamo poi nella lettura degli altri simboli tra i quali la Stella di David o Sigillo di Salamone,  molto diffusa nella cabala esoterica.  Ed ancora altre figure quali  il teschio, la rosa ad otto petali, cerchi concentrici e orologi che segnano differenti orari, alcuni animali fino ad arrivare ad una singolare ambientazione interna.   Permangono dubbi circa il significato di tali simboli così come anche la difficoltà di interpretazione ma certa è l’urgenza di preservare tali segni affinché ci possa essere l’opportunità di fare ricerca.   Colui che mostrerà curiosità e sensibilità, pur attraversando inizialmente le strade delle ipotesi e dell’errore, possa avere la possibilità, o meglio il diritto, di arricchire la Storia: quella propria, di Maratea e di rimando quella dell’intero territorio.  L’appello è rivolto a chi ha in “potere” di difendere il nostro patrimonio artistico e a chi voglia unirsi in tale percorso di sensibilizzazione affinché il passato, quello che ci ha reso ciò che oggi noi siamo, non venga cancellato ancora una volta dall’incuria degli uomini.

 

 

 

Roberta Lioy: biografia dinamica di un’artista

Definita artista Informale Figurinista, Roberta Lioy vive e svolge la sua attività artistica a Rionero in Vulture (Pz). Ceramista, Pittrice e Grafica insegna arte nelle scuole ed organizza corsi di pittura e laboratori creativi per adulti e bambini. Ha partecipato a numerosi concorsi e mostre collettive, organizzato eventi artistici e mostre personali.

 Quando è emersa l’idea di un articolo sull’artista Roberta Lioy ho da subito pensato che necessitavano delle parole-chiave che racchiudessero il suo modo di fare arte, il suo modus operandi che perfettamente coincide con il suo modus vivendi.

Alla ricerca di espressioni che racchiudessero il brio del suo atto creativo, sono approdata a questi tre termini con i quali possiamo definire Roberta Lioy: vulcanica, poliedrica e perseverante.

Vulcanica è l’espressione che indica l’energia del suo gesto e l’appagamento creativo che ne deriva.

Vulcanica, come la terra rionerese che sin dalla nascita i suoi passi hanno solcato, quasi come se avesse assorbito con avide radici quell’energia dirompente, quel fuoco che è stato proprio della sua terra.

E dal suo luogo natio riprende colori, suoni e odori rendendo la sua arte sinestetica.

La natura è l’elemento che torna ritmicamente nelle sue opere, sia da protagonista che puramente decorativa.

Il supporto sul quale dipinge è relativo. Ed è quest’ultimo aspetto che la rende poliedrica. In continuo fermento creativo la sua arte si espande prendendo possesso di tele, tessuti, legno fino al corpo umano con la sua body painting.

 

C:\Users\hp\Desktop\02-07\DeaAfro\IMG-20180918-WA0011.jpg

Tra i diversi materiali si crea un’assoluta alchimia studiata sapientemente, sempre nuova, sorprendente.

Con il suo fare ci riporta all’origine del termine arte: Ars-artis- “che si fa con le mani”- 

Un’ artigiana, dunque, che dà vita alle forme più disparate con assoluta devozione, con estrema fede nell’arte. 

C:\Users\hp\Desktop\02-07\DeaAfro\IMG-20180616-WA0002.jpg

 

La nascita della sua Galleria, la Brokenglass è poi la prova della sua perseveranza. Crea la sua galleria a Rionero in Vulture investendo così sul suo territorio, amandolo e impreziosendolo, riconoscente di ciò che di più ispirato ha colto da questa sua terra.

La sua arte nasce sempre da un sentimento che preme per essere espresso, che tono dopo tono, colore dopo colore si materializza e colma vuoti, assenze che avversa con il suo estro creativo.

 

Vogliano essere queste parole un invito a conoscere in maniera più approfondita le sue opere e a leggere con attenzione tra le pieghe della sua anima artistica.