Lena.O

L’autentica arte dell’imperfetto

LenaO. è un’artista calabrese con una laurea in Linguaggi dello Spettacolo, del Cinema e dei Media e un diploma in Illustrazione conseguito a Londra. Di recente è impegnata nello sviluppo di “Nel Bianco Secco”, un progetto artistico orientato alla luce che attraversa il tema della morte.

 E quest’ultima, quanto più si palesa tanto più la attacca alla Vita.

Ama l’acqua, il vento, il silenzio.

 

La curiosità fa imboccare il più delle volte vie illuminate. Ed è proprio per mera curiosità che ho scoperto le opere di LenaO. Ma ancor prima mi sono imbattuta nel suo nome, associato a quello di validi artisti presenti sul territorio calabrese e con i quali collabora. Da questo mio “incontro” ne sono emersi degli appunti ispirati e che riporto in maniera un po’ più ordinata in questo articolo cercando però di rimanere fedele alla prima impressione. Faccio scorrere a ritroso la pubblicazione delle sue opere e da subito colgo che LenaO.  lavora sulla linea e la superficie, omettendo il punto permettendomi così un rimando di kandinskijana memoria. 

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L’artista si libera da volumi ed ambientazioni. Nulla proietta ombre. Brada, libera da tutto il superfluo, lascia solo corpi e volti che in alcuni casi, in una sorta di horror vacui, riempiono lo spazio creando un tessuto d’inchiostro. 

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Sono figure messe a nudo che ci riportano alla realtà ostentando sul corpo segni disturbanti. La realtà, la veridicità dei corpi non sta in una virtuosistica riproduzione ma nella loro vulnerabilità. Tanto più è vero quanto più è vulnerabile. Tanto più è vulnerabile quanto più è vero. La vulnerabilità è condizione umana. Le figure, pur nella loro sintesi, appaiono più veritiere di certe immagini iperrealistiche. Il creare di Lena.O è un processo che dà verità all’arte, è lealtà nei confronti del proprio Io che riconosce l’imperfezione dell’essere. L’opera non nasce di certo per compiacere l’occhio dell’osservatore. Nella sua produzione artistica la superficie riservata al nero si accresce nel tempo, e il colore, quando presente, è senza sfumature di tono, steso a campiture.

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Il colore non è artificioso ma è un distillato colto dall’osservazione della natura e ne sono testimonianza alcune sue opere che vanno a zoomare su dettagli naturalistici. Il colore quando appare funziona come in una calavera poiché, pur dando al soggetto un valore cromatico nella sua essenza rimanda ad un concetto di dolore, sofferenza vissuta che ha lasciato visibili segni.  Le sue opere sono la rappresentazione di un dolore che dal punto temporale avverti già passato ma che vive nel presente attraverso le tracce vistose che di sé ha lasciato. Le esperienze vissute alloggiano in maniera differente nei corpi così come differente è l’esternazione degli impulsi che ne derivano. Tutto viene affidato all’espressività della bocca: un muto silenzio, un assordante urlo, un impavido sorriso. La silhouette delle figure è piatta ma trattata secondo una resa materica; presentano cuciture della stoffa, la granulazione della lavorazione dell’oro, la filatura della lana.  Caldo o freddo, morbido o duro è sempre il segno a deciderne le qualità tattili. Terminano qui i miei appunti ispirati ma continuate pure a dialogare con le sue opere.  L’arte che non ricerca canoni ma si ispira alla Vita, specie nelle sue imperfezioni, ha ancora tanto da dirci.

 

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La “Cattedrale del Jazz”

Il lungo assolo di Simon Rodia tra improvvisazioni e cromatismi 



1967.I Beatles pubblicano l’album Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band che molti di certo ricorderanno per l’affollata copertina. 

Attorno ai Beatles, posti al centro nel ruolo della Banda del Sergente Pepper, campeggiano volti noti del panorama musicale e non, e tra i diversi personaggi l’unico italiano: Simon Rodia.


FRANCIS SCHAEFFER ANALYZES ART AND CULTURE Part 69 THE ...

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Ma quale opera lo ha reso grande tanto da essere stato scelto ed immortalato dalla band? Lascio rispondere al gruppo rock dei Santo Niente attraverso le parole del loro brano (che vi invito ad ascoltare) dedicato a Sabato Simon Rodia.

 

“Per 30 anni in ogni ora libera dopo il lavoro, con vetri azzurri o verdi, fil di ferro e cemento, con acciaio, cocci e sudore. Con le mie mani e nient’altro costruisco la torre che piace alla gente e io la chiamo …Il nostro villaggio”.

Simon Sabato Rodia, emigrante italiano negli Stati Uniti, muratore ed analfabeta, decide di realizzare qualcosa di unico, ripetendo a se stesso che sentiva di dover fare qualcosa che sarebbe piaciuto alla gente…

"I have to do something, I build the tower people like ..." queste le parole dell’artista.

 

Definito eroe della costruzione solitaria, nell’arco di trentatre (dal 1921 al 1954) realizza nella zona di Watts alla periferia di Los Angeles, diciassette strutture di diversa altezza costruite con semplici strumenti e decorate con materiale di scarto come tegole rotte, piatti, bottiglie. 

 

History, Los Angeles County: Watts Towers as Mosaic Art

Ne nascono le Watts Tower, ieri strane opere erette da un ben più strano personaggio, oggi sito protetto dall’Unesco.

Cemento, acciaio ed un progetto già formato nella mente di Rodia hanno reso possibile lo svettare di queste strutture a torre, tra le quali le più alte fino a 30 metri.

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Simon Rodia, nato e vissuto fino all'età di quindici anni a Ribottoli in Serino, un piccolo centro in provincia di Avellino, quando emigrò negli Stati Uniti d'America portò con se’ reminiscenze di una delle più sentite tradizioni campane, quella dei Gigli di Nola. I Gigli, sono costruzioni di legno ad obelisco che vengono portate in processione in occasione della festa patronale dedicata a San Paolino.

 Come un “mastro” procedette ad una trentennale Aizata d'a borda (è così che viene chiamata dai nolani la costruzione del giglio) seguita da ʾA vesta nova ossia la decorazione, o meglio la vestizione dei Gigli.

Il risultato, definito dallo stesso Rodia “Nuestro Pueblo”, è una commistione di consistenza, colori e svettante vitalità che nasce principalmente da una necessità interiore dell’artista, né veicolato da alcuna formazione artistica pregressa né da esigenze dell’Apparire.

 La necessità dell’Anima: il preludio che rende stra-ordinaria e pregna di genialità l’Arte. 

 

Donne, spiritismo, arte e libertà

 

Una della vie più singolari per dar voce a quelle persone che socialmente non erano legittimate ad esprimersi è stata quella dello spiritismo.

 Lo spiritismo, che vede l’inizio ufficiale in una data ben precisa, il 1848 e per protagoniste ha proprio due donne (le sorelle Fox), attraverso la medianità ha supportato fortemente il bisogno di emancipazione delle donne. Quello dello spiritismo e del paranormale è stato uno dei pochi ambiti in cui la donna poteva esprimersi con autorevolezza e credibilità e ciò giustifica il fatto che i medium erano quasi sempre donne.

Gli anni dello spiritismo, inoltre, coincisero con le prime contestazioni femminili per ottenere la parità dei sessi, un esempio le manifestazioni delle suffragette oppure quella sorta di ribellione mascherata da nevrosi ossia l’isteria”, come molti studiosi l’hanno interpretata.  “E’ plausibile che lo spiritismo avesse una matrice simile: parlando attraverso gli spiriti alcune donne potrebbero aver trovato il modo di imporsi e di farsi ascoltare dagli uomini. 

Essere guidati da spiriti o voci diventava per le donne anche un alibi, una giustificazione ad attività diversamente non lecite, illegittime come per esempio quella grafica.

Si parla pertanto di creatività medianica e si tratta dell'insieme di opere artistiche realizzate da medium in uno stato di trance al di fuori del quale non avrebbero doti artistiche di rilievo. 

 Tutte creazioni spontanee e non acculturate ma di grande originalità che verranno in seguito accolte nel 1945 dal gruppo Art Brut in forte polemica con la cultura artistica ufficiale. 

L’art Brut ha dato, così, un riconoscimento estetico a queste opere, nate per lo più senza intenzione artistica come nel caso dell’inglese Madge Gill, di estrazione operaia, che inizia a disegnare nel 1918 dopo la morte di uno dei suoi figli continuando poi senza sosta e guidata, come lei stessa afferma, da una forza invisibile alla quale darà il nome di Myrninerest .

Realizzava le sue opere di notte in semioscurità e in uno stato di trance, sia su carta con inchiostro che  rotoli di tessuto calicò lunghi anche dieci metri  decorandoli con ricami. 

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La superficie risulta essere interamente coperta da intarsi geometrici, motivi a scacchiera creando così spazi architettonici che ci ricordano le opere di Escher. Da tali spazi però emergono delle reiterate figure femminili che possiamo essere interpretare o come rappresentazione del suo spirito guida o l’alter ego ultraterreno dell’artista al di là dei suoi traumi della vita terrena.

 

Altra artista medium da ricordare è Emma Kunz, guaritrice e naturopata che ha trascorso la sua vita in Svizzera. A partire dal 1938 iniziò a creare immagini di grande formato sulla carta millimetrata usando la matita, i pastelli, gessetti e un pendolo. 

Cosmic Visions: The Artist As Mystic | "Hear This, You ...

Le figure, rigorosamente geometriche, visualizzano le leggi interiori e i flussi di energia individuati con il pendolino. Tali opere venivano definite catalizzatori di energia e sono l’unica testimonianza della sua pratica, che la stessa Emma Kunz definì  “creazione e forma espresse come misura, ritmo, simbolo e trasformazione del numero e del principio” .                                                                          

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Sulla scia di un’emancipazione femminile che stava aumentando la propria portata, la scena artistica si arricchì sempre più di figure interessate alla commistione fra pittura e spiritismo. 

Hilma af Klint (1862 – 1944), influenzata in particolare, dalla teosofia, dall'antroposofia e dallo spiritismo durante la realizzazione di un dipinto aveva la percezione di essere in contatto con una coscienza superiore, un’entità spirituale denominata Amaliel della quale si considerava un tramite.

Proveniente da una ricca famiglia svedese e ricevuta un’educazione artistica, dipinse ed espose inizialmente ritratti e paesaggi in stile naturalistico secondo quelle che erano le aspettative del tempo verso un’artista donna.   In seguito abbandonò questo linguaggio tradizionale per astrazioni di forme e colori intese come rappresentazione di una dimensione spirituale, di ciò che è invisibile consapevole del fatto che la società patriarcale svedese dei primi anni del XX secolo in cui le donne ebbero accesso al voto solo nel 1919 non era ancora pronto ad accogliere tali verità.https://www.doppiozero.com/sites/default/files/royal_academy_of_arts_stoccolma_1885.jpg

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L’artista vietò infatti l’esposizione pubblica delle sue opere per vent’anni, un lasso di tempo sufficiente, secondo il suo pensiero, per un’evoluzione della sensibilità collettiva pronta ad affermare che...

”La vera arte è dove nessuno se lo aspetta, dove nessuno ci pensa, né pronuncia il suo nome”.

                                                                                                 Jean Dubuffet

 


Roberta Lioy: biografia dinamica di un’artista

Definita artista Informale Figurinista, Roberta Lioy vive e svolge la sua attività artistica a Rionero in Vulture (Pz). Ceramista, Pittrice e Grafica insegna arte nelle scuole ed organizza corsi di pittura e laboratori creativi per adulti e bambini. Ha partecipato a numerosi concorsi e mostre collettive, organizzato eventi artistici e mostre personali.

 Quando è emersa l’idea di un articolo sull’artista Roberta Lioy ho da subito pensato che necessitavano delle parole-chiave che racchiudessero il suo modo di fare arte, il suo modus operandi che perfettamente coincide con il suo modus vivendi.

Alla ricerca di espressioni che racchiudessero il brio del suo atto creativo, sono approdata a questi tre termini con i quali possiamo definire Roberta Lioy: vulcanica, poliedrica e perseverante.

Vulcanica è l’espressione che indica l’energia del suo gesto e l’appagamento creativo che ne deriva.

Vulcanica, come la terra rionerese che sin dalla nascita i suoi passi hanno solcato, quasi come se avesse assorbito con avide radici quell’energia dirompente, quel fuoco che è stato proprio della sua terra.

E dal suo luogo natio riprende colori, suoni e odori rendendo la sua arte sinestetica.

La natura è l’elemento che torna ritmicamente nelle sue opere, sia da protagonista che puramente decorativa.

Il supporto sul quale dipinge è relativo. Ed è quest’ultimo aspetto che la rende  poliedrica. In continuo fermento creativo la sua arte si espande prendendo possesso di tele, tessuti, legno fino al corpo umano con la sua body painting.

 

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Tra i diversi materiali si crea un’assoluta alchimia studiata sapientemente, sempre nuova, sorprendente.

Con il suo fare ci riporta all’origine del termine arte: Ars-artis- “che si fa con le mani”- 

Un’ artigiana, dunque, che dà vita alle forme più disparate con assoluta devozione, con estrema fede nell’arte. 

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La nascita della sua Galleria, la Brokenglass è poi la prova della sua  perseveranza.  Crea la sua galleria a Rionero in Vulture investendo così sul suo territorio, amandolo e impreziosendolo, riconoscente di ciò che di più ispirato ha colto da questa sua terra.

La sua arte nasce sempre da un sentimento che preme per essere espresso, che tono dopo tono, colore dopo colore si materializza e colma vuoti, assenze che avversa con il suo estro creativo.

 

Vogliano essere queste parole un invito a conoscere in maniera più approfondita le sue opere e a leggere con attenzione tra le pieghe della sua anima artistica.